La Corte d’Appello di Catania , Sez.Lavoro con la sentenza N. 1004/2024 del 22.11.2024 ha messo fine ( si spera), alle pretese avanzate dall’INPS con le innumerevoli ordinanze ingiunzioni, confermando le eccezioni ed i rilievi fatti per il contribuente dallo studio legale tributario Gambino.
La sanzione amministrativa portata dall’ordinanza ingiunzione opposta è stata irrogata dall’Inps ai sensi dell’art. 3, comma 6 del d.lgs. n. 8 del 2016, norma che, sostituendo l’art. 2, comma 1 bis d.l. n. 463/83, conv. con l. n. 638/83, ha depenalizzato parzialmente la fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, prevedendo l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 10.000 ad euro 50.000 qualora l’importo omesso non sia superiore ad euro 10.000 annui.
Nel giudizio de quo, in particolare, si verte in materia di illeciti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, ai quali si applicano le disposizioni dello stesso d.lgs. n. 8/2016 per espressa previsione dell’art. 8 (“sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”).
Si legge infatti:
La verifica dell’omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali effettuate sulle retribuzioni dei dipendenti, infatti, si risolve in un mero raffronto tra quanto dovuto dal datore di lavoro, sulla base dei flussi Dmag/Uniemens – da inviarsi telematicamente entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di competenza – e quanto effettivamente dallo stesso versato, in relazione alle singole mensilità. A riprova di ciò, dall’accertamento rivolto all’odierno appellato si ricava che le attività di verifica sono state compiute dall’Istituto previdenziale tramite una mera consultazione dei dati di cui ai propri archivi informatici.
Le due disposizioni normative, art. 14 legge 689/1981 e art. 9 comma 4 d.lgs. 8/2016, sono tra loro pienamente compatibili e si pongono in relazione di complementarità, per cui la norma generale integra quella speciale, laddove quest’ultima nulla dispone in ordine alle conseguenze del mancato rispetto dei termini di contestazione delle infrazioni. Ricostruito in questi termini il rapporto tra le due disposizioni normative, in virtù del richiamo espresso di cui all’art. 6 cit., ne consegue che deve ritenersi infondata l’allegata violazione del divieto di interpretazione analogica della previsione di decadenza.
Tale interpretazione (che, sebbene non univoca, è conforme a numerose pronunce della giurisprudenza di merito, tra cui Corte d’Appello di Torino n.89/2023 e 188/2024; Corte d’Appello di Genova n. 215/2023; Corte d’Appello di Salerno n. 530/2023) trova poi conferma anche nei principi generali dell’ordinamento e in particolare nel principio di ragionevolezza, che è immanente nell’ordinamento giudiziario (declinato anche nei principi costituzionali di ragionevole durata del procedimento e diritto di difesa), non potendo ammettersi che il datore di lavoro rimanga assoggettato sine die all’eventualità della contestazione che dà inizio al procedimento per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità amministrativa,
In definitiva, l’appello deve essere rigettato e la sentenza di primo grado confermata.
Viene confermato l’annullamento di oltre 45.000 euro di sanzioni elevate dall’INPS